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05 Gennaio 2012

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La decisione è stata comunicata brutalmente, via fax, alla vigilia del Capodanno: la Omsa chiude lo stabilimento di Faenza per riaprirlo in Serbia. 239 lavoratrici a casa. Eppure la Omsa non è in crisi, produce e vende tantissimo. Ma in Serbia, forse, può sfruttare meglio chi lavora.

La proprietà ha agito sotto banco, mettendo tutti di fronte al fatto compiuto, mentre ancora si discuteva sul futuro dello stabilimento e di come assicurare alle operaie continuità lavorativa. Niente da fare: il signor Nerino Grassi, che per decenni ha fatto la sua fortuna sfruttando il lavoro delle donne di Faenza e il marchio made in Italy, non ne vuole proprio sapere.

Abbandonare il Paese in un momento di crisi, lasciando sul lastrico centinaia di famiglie, è un atto imperdonabile. Alla vigilia del Capodanno, abbiamo lanciato  un invito a scrivere un messaggio sulla bacheca Facebook della Omsa. Migliaia i messaggi di protesta hanno costretto la Omsa a rispondere: “Abbiamo preso in considerazione il vostro punto di vista e abbiamo conversato con voi più volte riguardo a tali avvenimenti. Rimaniamo aperti alla discussione, ma per una serena convivenza di chi utilizza la nostra community per altri scopi i commenti off topic o con un linguaggio scorretto verranno moderati”.

A questo punto, c’è qualcosa che noi possiamo fare? Sì, sensibilizzare la Omsa. Ecco come:

1) estendere a più persone possibile l’invito a non acquistare i prodotti indicati nella foto in basso

2) scrivendo sulla bacheca Facebook della Omsa

3) condividendo e diffondendo le informazioni di questo post

La Omsa non è certo l’unica azienda italiana che, per qualche soldo in più, sbatte i lavoratori sulla strada per andare all’estero ma con questa iniziativa intendiamo cominciare un percorso di sensibilizzazione generale perché noi, in fondo, un grande potere ce l’abbiamo: quello di non comprare i loro prodotti. E chissà che la Omsa non ci ripensi.