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25 Maggio 2009

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L’emblematica storia di un giovane lavoratore di Portocannone, licenziato dalla cooperativa per la quale lavorava proprio quando sembrava sul punto di firmare un contratto a tempo indeterminato. Una vicenda che vede coinvolti lavoratori, aziende e sindacati e che potrebbe avere un epilogo nelle aule giudiziarie.

di Stefano Di Leonardo
www.primonumero.it/

Licenziati nonostante un contratto a tempo indeterminato, senza stipendio da più di 6 mesi e con nemmeno un’ora di contributi versati nonostante giornate intere passate al lavoro fra diritti calpestati e soprusi subiti. E soprattutto, la rabbia dentro derivante dalla convinzione di aver subìto un raggiro e la voglia di riscatto che adesso passerà con ogni probabilità dalle aule dei tribunali. Tutto questo proprio mentre il mondo intero sta vivendo quella che gli esperti chiamano “la crisi economica peggiore dal 1929 ad oggi”. E a pagare, sono spesso proprio gli operai, come quelli di questa vicenda. Che racconta di lavoratori molisani e pugliesi, accomunati da una storia fra lavoro e diritti, sindacati e aziende, operai extracomunitari e nostrani in un intrigo nel quale tenta di condurci uno di questi lavoratori, che chiameremo Alessio per evitargli altri problemi. Alessio, 25enne di Portocannone, è infatti coinvolto in prima persona in questa vicenda, ma preferisce mantenere l’anonimato poiché è già ricorso ad avvocati e studi legali per avere ragione in una storia che andrà avanti per molto a forza di carte bollate.

Quando ha inizio la tua storia?
«Nel settembre 2007, quando io a altri miei concittadini abbiamo iniziato a lavorare per una cooperativa del vastese che fa parte del gruppo Conad. Ci hanno assunto con un contratto per pochi mesi, poi nel dicembre dello stesso anno il contratto è diventato a tempo indeterminato».

Quanti dipendenti contava la cooperativa per la quale lavoravi?
«In tutto eravamo una ventina di operai provenienti dal Molise e dalla Puglia, mentre tutti gli altri, una cinquantina circa, erano extracomunitari, in particolare africani e cinesi».

Come erano le condizioni di lavoro?
«Non buone. Subivamo continuamente soprusi e sentivamo che i nostri diritti non erano tutelati a pieno».

In che modo si verificavano i soprusi e con che frequenza?
«Avvenivano spessissimo. Innanzitutto ci chiedevano di effettuare mansioni per le quali era necessario il quinto livello, mentre noi eravamo assunti come sesto livello. E poi accadeva di lavorare oltre il normale orario di lavoro e di non vedersi pagati gli straordinari. Il mobbing poi, era all’ordine del giorno. Ad un mio collega è capitato di ricevere insulti e offese da uno dei capi».

Come riuscivate ad andare avanti?
«Ci rivolgemmo ai sindacati. In particolare alla Cisl. Nel novembre 2007 si tenne un incontro sindacale nel quale ci venne prospettato il passaggio da una cooperativa ad un’altra, sempre rimanendo sotto l’ala dell’azienda madre che le gestisce. Ci venne detto che avremmo avuto un contratto migliorativo, col passaggio dal lavoro di facchinaggio a quello di multi servizi e con questa nuova cooperativa avremmo avuto maggiori diritti, compresi gli straordinari che ci spettavano. Ci venne detto che il passaggio sarebbe dovuto avvenire entro la fine del 2007»

E poi cosa successe?
«Per diversi mesi la situazione non cambiò assolutamente e lo stesso sindacalista che ci aveva fatto queste promesse, sparì dalla circolazione. Poi a febbraio avvenne un fatto nuovo».

Raccontacelo.
«Nel febbraio 2008 mi recai allo sportello ‘Help’ per chiarimenti sulla busta paga e chiesi del contratto migliorativo. Pochi giorni dopo si tenne una riunione sindacale durante la quale i miei colleghi vollero che fossi io il loro rappresentante. Da quel momento cominciai ad avere problemi».

Di che tipo?
«Una volta, per poter affiggere un avviso in bacheca, fui costretto a protestare perché era chiusa a chiave. Qualche giorno dopo quest’episodio venne da me uno dei responsabili della cooperativa e davanti a tutti mi minacciò con frasi di stampo camorristico. Cercò di farmi perdere le staffe ma io rimasi fermo sulle mie».

Il rapporto col sindacato come procedeva?
«Col sindacalista di riferimento avevo incontri nei posti più disparati, mai all’interno dell’azienda. A volte nei locali, altre nei supermercati. Io cercavo di comunicargli le esigenze degli operai e lui sviava sempre, garantendomi che le cose sarebbero mutate col cambio di contratto».

Come siete arrivati alla firma?
«Nel giugno del 2008, durante un incontro con il presidente della cooperativa per la quale lavoravamo, fui contattato da un altro sindacalista per la firma del contratto migliorativo. Io credevo che il sindacato ci tutelasse e avevo riposto in loro la mia fiducia. Così firmai, ma non vollero darmi una copia del contratto».

Dopo un po’ però avete scoperto che le cose erano un po’ diverse. Non è così?
«Alla fine di agosto ci comunicarono che saremmo dovuti restare a casa per una decina di giorni. Ufficialmente ci dissero che dovevano stampare i contratti. Passati quei 10 giorni ci convocarono proponendoci un contratto con un’altra cooperativa che era totalmente diverso. Inutile dire che le condizioni erano decisamente peggiori di quelle prospettate.

A quel punto cosa avete fatto?
«Agli extracomunitari l’azienda ha dato un ultimatum e loro hanno accettato. Fra i molisani e i pugliesi c’è stata più indecisione. Alcuni, specie chi è padre di famiglia, si è visto costretto a dire sì. Io e un’altra decina di ragazzi ci siamo rifiutati».

Dal sindacato cosa vi è stato detto?
«Il sindacalista Cisl cui facevo riferimento mi assicurò che quel contratto sarebbe stato solo un passaggio verso un miglioramento, insomma che in pochi mesi sarebbe stata carta straccia. Io intanto cominciai a muovermi col mio avvocato».

Quand’è che avete ricevuto la comunicazione del licenziamento?
«Dopo 25 giorni che eravamo a casa ci arrivò la busta paga del mese di agosto, senza il versamento e con aggiunta la lettera di licenziamento».

Come ti sei mosso a quel punto?
«Ho cercato aiuto alla Cgil, che invece mi ha fatto solo perdere tempo. Io credo cercassero di far scadere i termini per l’impugnazione del contratto. Inoltre mi sono rivolto alla Direzione Provinciale del Lavoro, ma anche lì ho ricevuto più alzate di spalle che aiuto. Da poco mi sono rivolto allo Slai Cobas. Il giorno dopo che mi sono recato da loro, mi hanno accompagnato di fronte ai cancelli dell’azienda per manifestare, ma ci hanno subito respinto. L’ultima sorpresa l’abbiamo ricevuta pochi mesi fa».

Che sorpresa?
«Abbiamo fatto la richiesta di disoccupazione all’Inps ma ci è stato risposto che nel periodo in cui lavoravamo per la cooperativa dalla quale siamo poi stati licenziati, abbiamo maturato zero ore contributi. In pratica l’azienda non ci ha mai versato i contributi, anche se c’è una norma che le permette di versarli in accantonamento, vale a dire nel giro di 3 anni».

Cosa stai facendo ora e cosa ti spinge nell’andare avanti in questa battaglia?
«Ora mi sono rivolto al mio avvocato per denunciare in Procura le persone che ci hanno raggirato. Io mi sto muovendo perché sento sulla coscienza il peso di questa situazione, di questa gente che da luglio, quindi da quasi un anno, non ha lavoro e non ha i soldi per tirare avanti».
(Pubblicato il 25/05/2009)