Cgil, Cisl e Uil: «Cresciamo». Ugl e Cobas: «Noi più di loro»
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VENEZIA — Centocinquanta dipendenti di un’azienda veneta del terziario che stanno pensando di traslocare in blocco dalla Cgil all’Ugl, cioè al sindacato della destra che raccoglie consensi nelle forze armate; gli autonomi dello Slai-Cobas, estrema sinistra, che in un anno raddoppiano gli iscritti; il sindacato padano Sinpa che torna nelle fabbriche a caccia di consensi fra gli operai della Lega, trovandone. E lei, Mara Bizzotto, pasionaria del Carroccio e grande amica della presidentessa nazionale Rosi Mauro, che sintetizza così la sua idea: «Noi avanziamo perché loro fanno troppo per gli stranieri e troppo poco per i veneti, le richieste d’aiuto stanno aumentando esponenzialmente».
Ma nonostante l’assalto, Cgil Cisl e Uil tengono, anzi, crescono: +2%, +1%, +2%. Niente di esplosivo ma nessun segno negativo. Addirittura l’ex brigatista Paolo Dorigo, tornato alla ribalta del mondo del lavoro come figura di riferimento dei Cobas, in questo periodo riceve operai dalle sette del mattino alle otto di sera in uno scantinato di Mira: «Il Sinpa? Incompatibile con la linea padronale della Lega. L’Ugl? Amici del vapore. Mai con loro. La Cgil? Ramificato sì ma troppo lontano dai lavoratori». Dorigo opera sul campo mentre più a Ovest il suo vecchio maestro e fondatore delle Br Renato Curcio indaga sugli stessi fenomeni sfornando inchieste e libri che riempiono le sale parlando di «dannati del lavoro», di «ambigità e suggestioni della responsabilità sociale d’impresa», di «vita e lavoro dei migranti».
Insomma, c’è crisi e molti corrono dai sindacati che sembravano mezzi morti e che ora si danno battaglia. Un movimento magmatico. Di qua i «tradizionali» sugli scudi che aprono le porte alla massa informe degli immigrati per i quali sbandierano e attecchiscono le organizzazioni più radicali; di là la partita degli operai veneti delusi che si sentono discriminati a casa loro. E poi c’è la grande fetta dei part-time e dei precari, di quella fascia che si allarga sempre più fra il posto fisso e il senza posto. Un genere di lavoratore, quest’ultimo, che gonfia le cifre dell’occupazione facendo segnare un dato positivo a livello regionale anche in piena recessione: circa un milione 670 mila occupati, in crescita di circa 80 mila unità rispetto allo scorso anno. E’ tutto un paradosso: «Noi cresciamo molto di più negli attivi - assicura Emilio Viafora, leader della Cgil nel Veneto - . Ci sono adesioni di immigrati, certo, ma non è questo il dato che ci fa fare il salto: esistono settori come il commercio e il turismo, i servizi, dove si iscrivono soprattutto gli italiani e i giovani».
Ma non è un paradosso, dice: «In periodi di crisi i lavoratori sentono il bisogno di una tutela di parte e di un’azione collettiva di superamento delle difficoltà». Si sente accerchiato dagli autonomi? «No, io non mi fido delle dichiarazioni di questa gente. Anzi, chiediamo una legge che misuri la rappresentatività del sindacato. Io so che quando si va alle elezioni noi otteniamo molti più voti di tutti gli altri». E il Sinpa? «Inesistente. Il fatto stesso che il capo sia un parlamentare la dice lunga, è innaturale, è una sezione lavoro della Lega». Ai Cipputi veneti che votano Lega e rivendicano un diritto di precedenza risponde che «quando si va nelle fabbriche si difende il reparto. Come si fa a dire che un lavoratore ha più diritto di un altro? Guarda, è chiaro che la crisi produce insicurezze, che divide le persone, che il privato vede male il pubblico, che il lavoratore a tempo determinato si scontra con l’'indeterminato'. Ma noi vogliamo che ci sia coesione fra i lavoratori, perché noi difendiamo tutti».
Ed è proprio su questo «tutti» che si annidano i dubbi di Luigi Gallo, un autotrasportatore della Bfc che ha detto addio alla Cgil per andare con i Cobas: «I vertici del sindacato fanno quello che vogliono, sulla pelle dei lavoratori. Io ero un delegato ma non mi hanno mai ascoltato. Firmano contratti che danno benefici solo ai datori di lavoro ». Stessa scelta ha fatto Gianluca Bego, operaio del Petrolchimico, dieci anni di Fiom alle spalle: «Ho lasciato perché ero stufo di distribuire volantini che scrivevano gli altri. Non sono mai stato coinvolto nella struttura. Troppe gerarchie, troppa rigidità». Solo leggermente più preoccupata di Viafora è Franca Porto, segretario regionale della Cisl che nel Veneto si conferma al vertice con 436.677 iscritti, di cui 199.108 attivi e oltre 220 mila pensionati: «Siamo in crescita, è vero, ma il tasso di occupazione è cresciuto più del tasso di sindacalizzazione e questo non va bene. Il sindacato padano? Benvenuti nell’agone, la competizione fa bene a tutti».
Mentre Gerardo Colamarco, segretario veneto della Uil, riconosce la frenata del 2008 con il solito «ma»: «Nel 2007 avevamo avuto una bella impennata». Sforna dati da primato Enea Passino del destrorso Ugl: da 47 mila a 51 mila nel privato, da 4 a 8 mila nelle categorie speciali: «Ma è soprattutto fra i forestali, gli agricoltori, i coloni e i mezzadri che abbiamo registrato grosse aperture». Franco Freda, filosofo e teorico della destra più estrema, si dice insofferente anche all’Ugl: «In questo contesto anche il sindacalismo appare come un falso scopo per deviare dalle vere necessità. E’ come una insignificante pratica di piccola manutenzione amministrativa. Amministrativa: non politica. La questione capitale è quella immigratoria. In queste tremende condizioni di sfiguramento etnico, non si può nemmeno più parlare né di nazione né di società, e non si possono quindi risolvere problemi sociali». Brividi. Nella confusione generale in cui tutti parlano di rafforzamento, c’è però un settore che cresce silenzioso più di tutti ma che non può essere quantificato e neppure rappresentato dal sindacato: i lavoratori fuori regola, il nero. Alla Cgil lo sanno: «Eh, questa è la grande incognita».
Andrea Pasqualetto
26 MAGGIO 2009